sabato 6 aprile 2013

ilGATTOPALDO

Questa del GattoPaldo è la storia vera
Che femmina pareva ma non era
E tanto gli bastò per esser sciolto
Dal primo vero affetto, il più profondo

E così GattoPaldo venne annusato dalla mamma. Lisetta fiutò in lui un odore strano, diverso da quello di Violetta e di Ezio, e diverso pure da quello di Erminia, Flora, Tauro, Milla e Torquato, Orsino e Leandro, insomma da quello di tutti i micetti che da un paio d’anni andava sfornando grazie al contributo sentito, seppur veloce, di Attila, da sempre suo gatto-padrone!

"Però ‘sto Attila, che razza di gatto, tutto nero con quel petto bianco che gli si intravede il cuore tenero in quella corazza da duro.
Ma quanto mi piace 'sto Attila qua!
Certo faccio la sdegnosa, mica si vorrà che il nome di Lisetta venga sperperato per tutti i sassi vecchi attaccato al nomignolo di “gatta facile”. Però che la luna m’aiuti a trattenermi quando intona quel canto così roco e malinconico!
Corro ad allattar i figli che mi son rimasti, per distrarmi dalla voglia o per farmela succhiar via!"

Annusato a lungo fu il povero GattoPaldo! Non che Lisetta non ce l’abbia messa tutta per classificare il suo ultimogenito ma, niente da fare...

"Figurarsi, io, che scovo un sorcetto a duecento metri nella notte, pur confusa dal puzzo di tutti ‘sti zozzoni che si sono accampati per i sassi da due settimane, eh già che tengo il conto, che c’hanno la lingua solo per miagolare.
No, il mio fiuto non sbaglia, ci deve essere stato un intoppo, questo non è figlio mio, né tanto meno di quel pezzo di gatto a cui allieto le ore.
Qua va a finir male, qua si sparge la voce.
Io già la sento quella perfida che non vede l’ora di gettare pulci su di me!
No, no, e poi l’ho promesso a mia madre, niente frutti ambigui da questo ventre fertile.
Onore al ceppo, me l’ha fatto giurare!"

Dal giorno alla notte Paldo si trovò sperduto in mezzo a mille rumori e a diecimila odori.
L’argento vivo lui ce l’aveva dentro e non sapeva come tenerlo a bada, ché pure nella disgrazia che gli era capitata, non ce la faceva a smettere di ispezionare, scoprire, guardare, e anche se ogni tanto le zampette gli ricordavano che era ancora molto piccolo, non avrebbe mai smesso di fare agguati agli steli d’erba mossi dal vento, che per lui tradivano lucertole incaute a muover la coda in sua presenza.
La fame però non gli dava tregua. Lisetta l’aveva abbandonato senza neanche mostrargli la tecnica giusta per cacciare i sorcetti. E sì che di coraggio ne aveva e di istinto pure, anche perché discendeva dal terrore dei topi dei sassi vecchi! Però lui non sapeva come riorganizzare tutta l’indole che si trovava dentro. Ecco, questo era il problema. Possedeva tutti i capitoli del "Manuale di sopravvivenza felina”, fornito di serie alla nascita, solo che, dei capitoli, mancavano i numeri e lui intentava di volta in volta le diverse combinazioni ma rimaneva quasi sempre a bocca asciutta!

Paldo non si dava per vinto e continuava a girovagare e a crescere, senza farsi abbattere da difficoltà che in fondo sono tali solo se si conosce una vita più agiata. Lui si era sempre arrangiato e non trovava faticoso il doversi arrangiare, lo trovava naturale.
Conosceva però la fatica dell’impegno verso esperienze che si andavano infittendo sempre più e che lo attraevano e lo respingevano ad un tempo.
La prima fra tutte si era consumata velocemente ed improvvisamente durante una battuta di caccia. I suoi occhi attenti avevano scovato, nel chiaroscuro di un cespuglio, il pasto del giorno e visto che le vittime scelte per i precedenti tre pasti del giorno non si erano mostrate compiacenti a tale investitura, Paldo intendeva quella volta prodursi nel più pulito degli agguati e dimostrare a se stesso e alla vittima designata che andava facendo passi da gigante.

"Bene allora mi accuccio, sì, mi accuccio per passare inosservato e lentamente mi dirigo verso il bersaglio. 
Già me lo sto assaporando, rimbomberà nella mia pancia vuota!!
NO, NO, CHE POI FINISCE COME IERI, NO! CONCENTRATO!
La coda! Giù la coda.
Questi topini hanno cento occhi.
Allora, carico e spingo...No, mi avvicino ancora un po’.
Ma…, eppure la mia pancia non può strusciare per terra, ne sono sicuro, da un po’ di tempo non mi devo neppure ricordare di tirarla in dentro, ho la conca naturale!! Cos’è tutto sto rumore?
Eccolo, quel muso che spunta dalle foglie. Sempre così, sta per scappare, lo so, e non mi darà il tempo neanche di fare un saltino per ficcargli in bocca uno spavento da raccontare agli amici sorci invece della solita risata. Carico eee...no, così non si fa! Qui c’è chi sta provando a cacciare…"

Alzò la testa e rimase impietrito. Ad un metro da lui riluceva splendente il pelo rosso di un gatto grande e fiero che, tutto immerso, lui sì, nella cattura della preda, aveva bellamente tralasciato di considerare l’esistenza di Paldino. Il nostro invece rimase affascinato dal corpo affusolato del suo simile, incantato nel vederlo all’opera così sicuro e silenzioso, paziente e deciso e rimase pure turbato dall’odore che emanava il fulvo cacciatore, tanto che di tutte le sensazioni che turbinavano nella sua testa gli venne solo di buttar fuori un miagolio a metà strada fra tutti i segnali che avessero un senso, un bell’incompiuto, che ebbe come unico effetto quello di far posare sul suo bel muso lo sguardo serio del gatto rosso, per un secondo, solo un secondo, prima di farlo ripiombare nell’oblio.
Quanto la sentiva stretta quella sua testolina il GattoPaldo!
Quanti interrogativi sospesi, che non sospettava di avere, piovevano all’improvviso nella sua mente! Il bisogno di affetto, di fare la pasta su quel pelo morbido, il bisogno di compagnia, la voglia di misurar la forza, l’incanto di apprendere i numeri dei capitoli del manuale, la curiosità di sapere come si raggiungono i sorcetti che volano, di sapere da dove viene quel rumore che sposta le foglie e i prati e il pelo; tutto, tutto, tutto avvoltolato, intrecciato nella sua testa, confuso e mischiato insieme, tutto quel turbine di pensieri volanti lo inchiodava ora in un pezzetto d’erba e a nulla valse lo sforzo dello stomaco di riportarlo ai bisogni materiali, né servì a niente vedere che la sua preda-sperata si trasformava in bottino-concreto fra gli artigli del fulmine rosso!
Per il quarto giorno di fila rimaneva a dieta ma certo la dose massiccia di cibo per l’anima gli aveva riempito i serbatoi dell’intelletto di scorte sufficienti per qualche settimana. Materiale per pensare ne aveva accumulato e, se non altro, con tutto quel daffare spirituale, la fame diventava più sopportabile.
Il gatto rosso aveva catturato il suo topolino senza troppo trambusto e se l’era squagliata velocemente così come era apparso. Non ritenne Paldo neanche degno di una seconda occhiata, di un commiato, che so, di una minaccia, si limitò a spruzzare il suo marchio sul cespuglio, ritenendo, erroneamente, che Paldo fosse in grado di coglierne il significato!

La febbre dell’emulazione lo colse in pieno. Continuò a rivedere a presa continua gli interi due minuti che aveva unilateralmente condiviso col predatore, aggiungendo ogni volta nuovi particolari tanto che presto ebbe bisogno dell’intervallo fra il primo e il secondo tempo.

Era buffo che il GattoPaldo fosse nato sotto il segno del leone. Se avesse avuto a quel tempo qualche nozione in fatto di famiglie allargate, avrebbe di certo invidiato lo stile di vita del fratello più grosso che, sdraiato al fresco di un albero sperso per la savana infuocata, aspetta che le proprie mogli gli portino in pasto gazzelle, zebre, antilopi, altro che sorci!
Fra tutti i nobili parenti selvaggi, però, lui si sarebbe di certo riconosciuto nel leopardo, solitario, deciso, sperava col tempo di diventare anche temuto!! Ma la vera passione che univa Paldo al gattone maculato era quella per i rami, per gli alberi, per la pace che si gode lassù! Magari non si teneva ancora bene sulle zampette, ma a salire sugli alberi Paldino aveva imparato subito, anche se per necessità.
La prima volta, infatti, lui a prendere quota neanche ci pensava, solo che mentre scavava la sua buchetta per liberarsi di quel poco che il suo fisico aveva deciso di non assimilare, in piena concentrazione, nel momento più rilassante, più intimo della giornata, con gli occhi a mezz’asta e le orecchie tirate indietro, in quel sacro momento, un rumore di unghie al galoppo lo distolse bruscamente. Si girò solo con la testa, senza avere il tempo di cambiare posizione, e, con qualche fatica, riuscì a ricondurre quella macchia bruna con enormi orecchie pelose che sbattevano come ali di gabbiano, alle immagini di quelle bestie attaccabrighe che parlano a singhiozzo facendo un casino insopportabile. Solo che quella che gli correva incontro aveva qualcosa in più, un valore aggiunto, era, come dire, più attaccabrighe, molto più attaccabrighe, sembrava proprio indemoniata! Quelle unghie si conficcavano nella terra alzando nuvolette di polvere. Si avvicinava a venti metri al secondo!!! Ora GattoPaldo poteva anche sentire il respiro affannoso e vedere la lingua che svolazzava ripiegata all'indietro.
Niente progetti, niente piani, non c'era tempo per nessuna riflessione, nessun calcolo, nessuna considerazione.
Tutto era ormai compromesso.
Lo scatto fu fulmineo, fluido, inatteso.
Paldo lasciò la sua buchetta e sfrecciò diritto, un po’ a vanvera per dire la verità, senza un piano dettagliato, ma diritto e veloce, così veloce che quando si trovò di fronte al cedro del libano ebbe appena il tempo di decidere se schivarlo a destra o a sinistra prima di rendersi conto di trovarcisi in groppa.
Neanche la bestia rantolante ebbe il tempo di decidere per la destra o per la sinistra e il tremolio che ne seguì quasi disarcionò Paldino dal suo ramo.
Da quel giorno il nostro eroe si innamorò di quelle tane sopraelevate, tutte diverse fra loro, ombreggiate quando ce n’era bisogno e strategiche per catturare i sorci volanti. Spesso ci passava la notte, spesso ci schiacciava il pisolino pomeridiano, con la coda penzolante nel vuoto. Amava le querce, con i rami grossi e nodosi, ma di solito si accontentava di alberelli più bassi, da cui era più facile scendere. Si rannicchiava bello comodo nel punto che più gli consentisse di scrutare il territorio sotto di lui e sprofondava nei suoi pensieri. Cercava di riordinare le esperienze.

Lui, a dir la verità, ancora non ci aveva capito molto delle regole sociali. Ogni volta che incontrava un altro micio andava in confusione perché gli pareva che tutti i punti fermi a cui era arrivato in base agli incontri precedenti dovessero esser rivisti.

"Quel prepotente m’ha arruffato tutto il pelo, guarda qua, mi sembra pure che me ne manchi un ciuffo.
Ma come si permette? 
'Ste confidenze, ma chi lo conosce!
Eppure ci sono andato cauto.
Tutti quelli che incontro mi scrutano da lontano e poi si avvicinano con quello sguardo inquisitorio, tutti con la fissazione di scandagliarmi il sottocoda. Ci infilerebbero il naso se li lasciassi fare!
Non dico un saluto dopo l’ispezione ma almeno uno sguardo negli occhi, un segno che mi faccia credere che l’interesse che suscito non si esaurisca tutto fra le cosce!! E invece quando mi va bene se ne vanno sdegnati, altrimenti si infuriano come se gli avessi fatto chissà quale torto e si gonfiano tutti e mostrano i denti come se volessero conficcarmeli lì dietro! 
Com’è che i conti non mi tornano mai???
Riuscissi una volta ad anticipare la reazione. Eppure una regola ci deve essere! Forse muovere troppo la coda durante l’ispezione è un segno di cattiva educazione. Forse si infuriano se faccio le puzzette!! Beh, chi se ne importa, potrebbero almeno chiedere il permesso prima di ficcare il naso in spazi privati.
Ora che per una volta mi sono avvicinato io e ho annusato io, tutto ‘sto putiferio mi sembra esagerato. 
Mi son sentito i denti nella gola!
Ma aveva quello sguardo che mi piaceva troppo.
Forse l’approccio che ho tentato ha un significato diverso. Io volevo approfondire la conoscenza, non certo frantumare le regole del galateo ma non m’ha dato neanche il tempo di miagolare!
Chissà che sta facendo?!?"

Paldino aveva incontrato Margherita. Lui non sapeva perché dopo tanti incontri solo la vista di Margherita lo avesse attratto in modo così forte, ma questa volta le zampe non aspettarono che ci ragionasse sopra, presero e partirono alla volta della fonte di cotanto richiamo.

Dal canto suo Margherita si sentì onorata vedendo uno spasimante che le correva incontro; fino ad allora aveva sempre assistito alla corte che altri spasimanti facevano ad altre spasimate. A lei non era mai successo e moriva dalla voglia che qualcuno le dedicasse, anche a lei come alle sue amiche, un timido canto strappacuore.
Pronta, con la testa fiera un po’ reclinata per non dar troppa importanza al grande evento, con la coda diritta ma nervosa, che denunciava gli scarsi risultati delle lezioni di autocontrollo, decisa a dire sì ma non subito, con moderazione, rispettando i tempi ed emulando Olivia, supercorteggiata, superadulata, superplatinata amica a senso unico, tesa al punto che riusciva a sentire il rumore delle sue vibrisse scosse dal vento, che rumore assordante sentì dentro di sé quando il suo cuoricino esplose in mille minuscoli pezzettini!
D’accordo, lei non era una bellezza sconvolgente; va bene, lei non aveva una gran nomina nel suo quartiere; certo, il suo pelo bianco tendente al rosa era un po’ stravagante, ma perché questo non era preso come un’attraente particolarità? Perché non aveva la stessa carica erotica dell’orecchio mangiucchiato di Olivia?

"È vero io ho fatto il voto, ti ho giurato di esser modesta, ho capito che Olivia, Osiria e Onilla hanno qualcosa che io non avrò mai e quindi non mi posso crogiolare nella delusione ogni volta che sogno un gesto galante che puntualmente non arriva (a me! perché a loro arriva sempre, arrivano pure quelli che non arrivano a me!).
E sono stata brava, tu lo puoi dire, in questa settimana non ho aperto il mio cuoricino allo sconforto neanche un attimo, neanche quando mi son resa conto che Marzio ha finto di voler essere mio amico per far le fusa a Osiria, quella…gattamorta.
E non ho versato una lacrima, e tu mi sei testimone, quando Olivia mi ha fatto capire, con i suoi modi "gentili", che non ero la benvenuta nel gomitolo della sera perché lei, povera reginella, voleva scambiar pulci con Tito in santa pace.
Va bene, le ho augurato che quell’orecchio le si possa accartocciare in testa come la coda di un maiale, ma devo imparare l’umiltà mica candidarmi al posto di santa protettrice delle gatte da marciapiede! 
Insomma, io cerco di essere forte ma come faccio ad affrontare uno scostumato che prima mi illude, così giovine e tenero, e poi, al modo del più perfido dei serpenti, mi annusa come se fossi un fenomeno da baraccone?
Fortuna mia che non c’era gran movimento in giro.
Ah ma gliele ho suonate, hai visto, non me lo son fatto scappare, avrò ritirato fuori i bocconi amari che ho ingoiato da un mese a questa parte.
E lui faceva il sorpreso, piccolo principe, si girava a pancia all’aria, meschino, ma chi voleva incantare? 
Certo, era carino!
Non l’ho mai visto da queste parti.
Carino quanto maligno!
Ecco ci sono!! Qualcuno deve averlo istruito per umiliarmi ad arte! Di sicuro quella banda di mangiagramigna con Tito in testa s’era nascosta tutt’intorno per ridere di me!
Mia buona stella, io non ce la faccio a vincere i miei complessi se devo pure sopportare le cattiverie di quel branco di dementi. Non ne puoi incenerire qualcuno? 
Un bel pelo però, lo sconosciuto, anche se…"

Paldo non se la passava meglio. Sul suo albero si leccava le ferite del cuore senza sapere di averle. Era stata una giornata strana quella. Si era sentito stonato tutto il tempo, perfino lo stomaco l’aveva lasciato in pace, anzi lo aveva allontanato da una panciuta lucertola che prendeva il sole. Il pensiero di quella coda rotolante, che fino a qualche giorno fa gli stuzzicava l’artiglio, ora gli faceva venire i brividi sulle orecchie.

Come fa l’onda là sovra Cariddi,
che si frange con quella in cui s’intoppa
così convien che qui la gente riddi.

Tutto un rimescolio di infuriati che, per forza di poppa, facevan rotolare massi di ormoni dentro il corpicino del povero Paldo. Ma anziché rinfacciarsi il mal dare e il mal tenere tenuto in vita, costoro si insultavano al suono di “FEMMINUCCIA” e “BRUTO”, tanto la sostanza li separava!
Già perché più cresceva e più il GattoPaldo diventata full-optional!
La buona Lisetta lo aveva dotato di tutte le nature!
Certo, all’inizio nessuna delle due era completa ma l’imperfetta abbondanza le era bastata per allontanare da sé il suo frutto indefinibile. Ora Paldo, che quelle due nature le portava dentro, si apprestava ad affrontarle senza averne i mezzi e soprattutto senza sapere di doverle affrontare.
Ecco perché aveva offeso a morte Margherita, annusandola come un fenomeno da baraccone, semplicemente comportandosi con lei, che l’aveva così affascinato, come finora tutti avevano fatto con lui.
Aveva capito che quello era il modo di avvicinarsi agli altri.
Non aveva capito che, per gli altri, lui era un fenomeno da baraccone.

Credo sia giunto il momento di tracciare il profilo del nostro Paldo. I suoi tratti facilmente si riconducevano alla più comune delle razze, almeno la più diffusa per la terra che lo ospitava. Aveva un classico mantello grigio striato sul dorso, una pancia classicamente candida, un po’ ingrigita dalla vita selvatica, le zampette posteriori una grigia e una bianca, per amor della coerenza, e un musetto bianco col naso rosa che diventava quasi rosso quando era molto eccitato, tutte le volte che si preparava ad attaccare, in ogni momento in cui si sentiva spaesato.
Quel naso all’insù, tumido e di un rosa acceso, spiccava sotto quello sguardo scaltro, da micio che la sa lunga (come ingannano le apparenze!!).
Sembrava addirittura che fosse ancora più all’insù, quasi snob, a mostrare una nobiltà che nessuno gli aveva dato ma che aveva tutte le intenzioni di conquistare sul campo. Niente di più lontano dalla baracca quindi, anzi niente di più normale, non volendo dire anonimo perché non suona bene. Da dove nasceva allora tutto l’interesse che Paldino suscitava nei mici che incontrava via via per la sua strada? Cos’era che spiccava da lontano?

"Ce lo sai, a me nessuno me fa fesso.
E chi ce prova poi c’ha da fa co’ me medesimo.
Qual è la fama mia dentro a ‘sta cricca? Dai su, lo vojo sentì dì!
Esatto, hai detto bene!
E allora visto che io nun c’ho bisogno de sta' a pregà tanto le pulzelle pe’ falle veni' a cuccia, si te guardo è perché la fortuna a un certo punto ha deciso de datte una possibbilità. E già me girano le zecche se dopo un attimo nun me stai già a cospetto co’ l’orecchie scese!
Te piace fa la schizzignosa?
Va be', ce sto, perché sei nova e nun conosci le regole.
Ma se vedi che un pezzo de gatto te se avvicina mentre tutt’intorno se crea er silenzio, tu nun continui a fa’ la smorfiosetta, nun me continui a squadra' co’ l’occhi a palla e quer naso rosa a pizzo che pare te sei sniffata ‘na vagonata d’ortica de quella fina!
Me so’ fermato a metà strada.
Ho sentito che quarcuno sghignazzava, nun ve credete, mo parlamo pure de quello, ma, pure se nun sto qua a rende conto a voi, ve dico che nun è perché ce so rimasto male. Figurateve, robba che quanno Olivia ha sgamato che ce poteva rimette er primo posto ha fatto de tutto pe’ manna giù certi lacrimoni che da soli bastavano a fa’ cresce la gramigna.
Ho inchiodato perché i conti me spareggiavano. Er musetto me 'ntrigava ma era stonato in quarche punto.
L’occhio, forse, nun era proprio a regola d’arte, me ricordava quello del buon Bario, che tra l’artro stava in mezzo a quei simpaticoni che sghignazzavano! Allora m’avvicino un po’ de più pe’ venì a capo de ‘st’arcano, je giro intorno e sento n’odore strano, che nun ho mai sentito fino a mo. Nun era de un maschio, io coi maschi nun c’ho gnente a che spartì, li fiuto da lontano.
È inutile che fate i rantoletti, nei posti sbajati nun me ce so’ mai infilato, come invece ha fatto quarcun artro.
Insomma maschio nun era ma pure della femmina c’aveva poco!
Era più un misto, ‘na cosa indefinibbile.
Allora je guardo er sottocoda!
Nu l’avessi mai fatto, nun ho visto mai ‘na cosa così strana in vita mia. C’era tutto ‘r’mondo là de dietro, anzi de tutto un po’!!!
Nun so neanche riuscito a conta’ tutti i buchetti!!!
Mamma mia che spavento.
Ridete, ridete, intanto solo io c’ho avuto il coraggio de sfida' la sorte. Beh, sì, io in fondo l’avevo capito che era un tipo strano, me so finto piacione per fallo ‘sta tranquillo e, soprattutto, pe fa sta tranquilli tutti voi! Che artimenti ve la facevate sotto."

Tito il macho aveva indorato la pillola alla sua cricca o, come avrebbe detto lui, gliel’aveva imbastita, ma la verità in cuor suo la sapeva, e non riusciva a crederci.
Hai voglia a cercar particolari stonati per giustificarsi agli occhi suoi e a quelli dei suoi adepti. L’infallibile aveva fallito, lo sciupagatte aveva cannato, per la prima volta nella sua carriera stava per partire alla conquista di una femmina che femmina non era, quantomeno non come quelle che fino ad allora aveva messo nel pallottoliere.
Non era ancora pronto per vivere esperienze diverse. Ma si poteva ben consolare Tito il figo. Non era l’unico ad esser incorso in clamoroso errore. Ben altri conquistatori al pari di lui, se non con più esperienza, avevano visto in Paldo la preda da mille punti.
Ingenui!
Paldo era valutato preda pregiata in quanto preda forestiera! Si sa, il fascino della conquista fuoriporta è spesso irresistibile! Chissà allora quanti punti avrebbe guadagnato se tutti avessero considerato il suo vero valore aggiunto!
Certo, Tito aveva dovuto faticare per mantenere la sua giusta figura all’interno della cricca, ma lì finivano tutti i suoi problemi. Dopo aver sudato goccioloni freddi cercando di spiegare il suo “incidente”, aveva cominciato a strusciarsi Olivia, accarezzandole dolcemente la schiena con la coda, un gesto che aveva imparato nella sua lunga esperienza, un po’ il suo ingrediente segreto che non falliva mai, e poi aveva attaccato con quei sommessi rantolii che avevano definitivamente fatto scordare alla corteggiata del pericolo appena scampato.
Allontanandosi con la più bella gattina in circolazione sentì che la reputazione era ancora solida e cominciò da quell’istante a dimenticare il GattoPaldo.

Com’era difficile invece per il GattoPaldo cominciare a dimenticare Tito! Solo lui aveva potuto vedere gli occhi terrorizzati di quel gattone grande e grosso, uno di quelli che sembrano non avere paura di niente. Quello sguardo terrorizzato aveva terrorizzato Paldo mille volte di più, lo aveva gettato nell’incertezza più nera e gli aveva scatenato il bisogno assoluto di far parte di qualcosa, di scacciare via lontano da sé quel sentimento di incompatibilità che tutti i suoi simili gli avevano urlato contro.
Come se non bastasse, l’amore stava dilagando nel suo cuoricino con l’impeto di un fiume in piena. Pensava in continuazione a Margherita, bramava di fare muso a muso con lei, di sentire le sue fusa, di affondare il suo nasino in quel pelo fulvo e lucido!
Fulvo e lucido?
Ma Margherita non era di uno strano bianco rosato?

"Sono così contento che tu sia qui!
Lo so, è un po’ scomodo.
Tieniti forte alla mia zampa, andiamo nella mia tana segreta.
Hai paura dell’acqua?
Sai, quest’acqua mi regala sempre delle risposte, io mi specchio e magicamente mi tranquillizzo, inizio a respirare e mi accorgo di essere stato senza respirare per tutto il tempo.
Oh, com’è agitata oggi! Non l’ho mai vista così.
E torbida pure, non riesco a vedere la mia faccia!
Non riesco a capire, non riesco a respirare.
Che mi succede?
Perché ti vedo così distante? Dove sei andato a finire? Perché dalla tua parte l’acqua é limpida e tranquilla?
Ho sempre desiderato dirti che non ho mai smesso di pensarti, che se non fossi stato trattenuto o forse spaventato, se ne avessi avuto il coraggio, t’avrei seguito.
Non ho pensato neanche per un attimo al topo.
Appena ti ho visto ho sentito che l’unica cosa importante era stare con te!
Perché non mi ascolti?
Ti prego fammi avvicinare, voglio specchiarmi nella tua acqua, sento che solo così posso capire.
Come sei bella. Stavo parlando con…
dov’è andato?
Non ti sbilanciare, attenta, reggiti a me.
Sento i tuoi occhi su di me, li sento penetrare dentro di me. Nei tuoi occhi rivedo il colore della mia acqua. Com’è che allora non riesco a vedere me?
Perché non mi vedo?
Che fai?
Così mi fai cadere.
No, non voglio, ho paura, l’acqua è sporca, è agitata, è sporca, è troppo sporca..."

e invece Paldino si ritrovò immerso in un’acqua limpida e tiepida, circondato da tantissime bollicine che, salendo verso l’alto, gli indicavano la via.
Si rese conto che poteva respirare, che aveva già iniziato a farlo, che doveva solo continuare, prenderci l’abitudine.
Per niente spaventato, decise di tirar fuori la testa dall’acqua e vedendo che sia Margherita che il gatto rosso che aveva incontrato tempo fa gli porgevano la zampa per aiutarlo ad uscire, nuotò verso di loro, con la certezza di poterli stupire, di dimostrare loro di farcela da solo. Ma il pelo era bagnato, intriso di acqua, era troppo pesante e le zampe sembravano far cilecca.

L’ultima sensazione che Paldino conservò di quel sogno fu la contentezza provata nel sapersi fuori dall’acqua e la consapevolezza che l’acqua non fosse più un pericolo, non più.
Non riuscì a vedere come ne venne fuori, anche se ebbe la sensazione che qualcuno, uno dei due, o forse entrambi, lo avessero tirato su, ma l’immagine di quell’acqua, tornata limpida e calma a scorrere senza pensieri verso il futuro, la tenne stretta dentro di sé per tuffarcisi in ogni momento complicato; a quella chiese aiuto quando l’acqua, quella vera, era distante.
Quell’immagine, così difficile da decifrare, era invece così facile da sentire.
Lo rassicurava, gli diceva che dentro di sé tutto era tranquillo, caldo, trasparente, naturale, gli diceva che c’era una via e che l’avrebbe trovata, che forse qualcuno l’avrebbe aiutato.

Quanti campi di gramigna aveva percorso con gli occhi fissi davanti a sé senza badare al tempo, alle prede che gli attraversavano la strada, allo stomaco che urlava il suo affamato disappunto.
Gattopaldo aveva scelto di guardare dentro di sé senza sapere se fosse la strada giusta, senza sapere che era la strada giusta.
Arrivò a concentrarsi così profondamente da imparare a sentire i suoni del suo corpo, della sua testa. Imparava a sentire i suoi pensieri, a dargli un colore. Nutriva il suo corpo dei frutti della meditazione.
Riusciva a vedere il sangue che si aggirava per le sue vene, riusciva ad ammirare l’aria che invadeva i suoi polmoni, riusciva a guardare le idee prendere forma nella sua testa, riusciva a sentire una forza superiore sfiorargli il ventre.
Già, il suo ventre!
Cosa succedeva lì giù in fondo?
Un malloppo di colori si incastravano dando vita ad un’energia strana, che cresceva, cresceva, incessantemente, continuamente, cresceva, cresceva. La strada si faceva corso nel corpo di Paldo, la zampa a cui aggrapparsi gli nasceva dentro ma lui questo non riusciva ancora a capirlo. Però annusava nell’aria una serenità che non aveva mai conosciuto. Dai colori della sua pancia decifrava una vocina che gli diceva di aspettare, ancora un po’, ancora qualche giorno e tutto sarebbe cambiato, e l’acqua si sarebbe calmata per sempre.

Paldino se ne stava tutto il tempo in braccio a un ramo, appoggiato sulla schiena, sbracato sulla poltrona di legno, a guardare il suo ventre agitarsi come fosse vivo!
Guardava quei bernoccoli riassorbirsi nel suo pelo per rispuntare dal lato opposto, per sparire di nuovo.
Provava a leccarli, a mordicchiarli, macché, quelli si ritraevano appena li sfiorava.
Il suo ventre cresceva, si dimenava e cresceva senza che Paldo potesse farci nulla. E dopo una notte più agitata del solito, quanto poco stupore nel vedere la risposta a tutti i suoi pensieri sbucare dalla sua pancia.
Paldo ebbe la reazione più naturale del mondo di fronte all’evento più frequente del mondo.
Niente turbamenti, nessuno smarrimento.
Cominciò ad aiutare quella testolina ad uscire dal suo corpo come se, fino ad allora, non avesse atteso che quel momento.

Bianco come la luna il muso bello
Come Paldino grigio il suo mantello
Femmina o maschio dir non c’è ragione
Nessuna gabbia, Amor non ha prigione

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